Tonino Tatò e la giustizia sociale: mille modi per esprimerla

Nel film DOPO DIVORZIEREMO - 1940

La famiglia ed i compagni di una vita.

 Antonio Tatò, più conosciuto come Tonino Tatò, è nato a Roma il 5 novembre 1921. 
Suo padre Francesco, laureato in Giurisprudenza, era un noto giornalista parlamentare vicino alle posizioni di Francesco Saverio Nitti. Sua madre, Ebe Cossio di Codroipo, discendeva da un’antica famiglia friulana e aveva aperto a Roma una piccola impresa artigianale di paralumi, la ditta D.A.I..

Tonino frequenta il Liceo privato cattolico Sant’Apollinare desiderando i suoi genitori offrirgli un ambiente più libero: le scuole cattoliche erano meno legate al regime fascista. Da lì partecipa ad associazioni culturali contrarie al regime dove conosce coloro che saranno compagni di una vita tra cui Franco Rodano e Adriano Ossicini.

Lotta clandestina al fascismo e passione giovanile

La passione giovanile per la musica americana nota come “swing”, molto ritmata, "sincopata", e trasgressiva rispetto al “patriottismo” dell’epoca che voleva tutto italiano, abile chitarrista e ottima voce, lo portano a fondare il “Quartetto ATOR”, dalle iniziali dei quattro componenti. Aveva 19 anni. Era il suo modo di sfidare quel regime che aveva abolito il diritto di sciopero, i partiti e i sindacati. Con il suo quartetto si esibisce in alcuni locali e partecipa a due film dello zuccheroso filone dei “telefoni bianchi”, molto in voga durante il regime:

il Quartetto ATOR (Tatò è il terzo da sinistra) e Amedeo Nazzari                                     Tonino Tatò
                                                                                               
DOPO DIVORZIEREMO con la star dell’epoca Amedeo Nazzari (1940) e IDILLIO A BUDAPEST con Osvaldo Valenti (1941), un altro famosissimo attore di quegli anni. 

Dal 1939, mentre si laurea, fa l'attore e il cantante, si impegna nella lotta clandestina al fascismo che presto lo coinvolgerà totalmente.

Un percorso politico straordinario

Nel nascondersi dalla polizia, nel 1940 conosce la giovane musicista Erminia Romano sua futura moglie, con la quale avrà quattro figli. Militante del Partito Comunista Cristiano (PCC), verrà arrestato il 18 maggio 1943 e condannato a morte. Scampato alla fucilazione per la caduta di Mussolini il 25 luglio di quell’anno, nel settembre del 1943 entra nella Resistenza come membro del Movimento dei Cattolici Comunisti (MCC) e gli viene assegnata una zona di operazioni a Roma. Entrati gli Alleati nella capitale, nel giro di due mesi si sposa con Erminia Romano e l’anno successivo, dopo lo scioglimento del MCC, entra nel Partito Comunista Italiano e viene assegnato, come vicedirettore responsabile, alla Commissione Lavoro di massa.

Scrive continuamente articoli critici sulla politica del governo e critica la stessa CGIL per la sua impostazione dei problemi “dall’alto” mentre occorre immedesimarsi, dichiara ovunque per iscritto e nelle conferenze, nei problemi sociali “dal basso”. Nel 1949, entra nella CGIL guidata da Giuseppe Di Vittorio – sul quale scriverà una biografia in quattro volumi – e gli viene affidata la direzione dell’organo ufficiale nelle sue diverse denominazioni (Notiziario della CGIL, prima, e Rassegna sindacale, poi). Nel 1968 gli viene richiesto di costituire e dirigere l’Ufficio Studi della CGIL.

Con Enrico fino alla fine

Nel 1969, il nuovo vicesegretario del PciEnrico Berlinguer, lo chiama a lavorare nel suo staff, dapprima come segretario e poi come Capo Ufficio Stampa del Pci. È l’inizio di un sodalizio che durerà 15 anni, l’inizio di una sintonia eccezionale che lo porterà a condividere ogni passo da fare, ogni riflessione necessaria per portare il Paese Italia verso il rinnovamento e il progresso. Il progetto berlingueriano era molto ambizioso e di lunga gittata: rinnovare non solo l’Italia ma anche le ideologie politiche del Novecento, dal capitalismo al liberalismo al “socialismo reale” dei Paesi sovietici.

Un fardello enorme. Sembra che, come in un patto segreto, Tatò avesse ricevuto da Berlinguer la delega a seguire quasi tutti i fatti della politica italiana mentre lui si occupava soprattutto di quelli internazionali. Segretari politici degli altri partiti, personalità delle Istituzioni, rapporti con il Quirinale, industriali pubblici e privati, personalità di spicco della cultura, Curia Vaticana, interviste sui mass media: tutto passava attraverso Tatò, un Tatò estremamente rispettoso di Berlinguer e attento a muoversi nella massima discrezione, in particolare nelle riunioni riservate che si succedevano nel suo appartamento e nelle cene tra amici in cui si poteva parlare senza dover dosare le parole e i concetti in nome di delicatissimi equlibri interni e internazionali. Nessuno sapeva che, invece, le microspie della C.I.A permettevano, e lo fecero per ben tre anni, la registrazione di tutto. Essere Capo Ufficio Stampa del più grande partito di opposizione in Italia, del partito comunista più grande dell'Occidente, significava essere sotto la lente di ingrandimento dei Servizi italiani ma anche americani, britannici e sovietici. E Tatò e Berlinguer lo sapevano bene, la Segreteria del partito anche ma non immaginavano, almeno alcuni, fino a che punto erano osservati. 

Da questo sodalizio, da questi quindici anni insieme su tutto, nacquero delle pagine fondamentali - e discusse - della politica non solo berlingueriana ma italiana: la vicenda del “compromesso storico” sfociata poi nei governi di solidarietà nazionale (1976-1979), la “questione morale” e l’ “alternativa democratica”. Quindici anni in cui gli venne offerta per due volte una candidatura in Parlamento: rifiutò. Il suo posto era accanto a Enrico Berlinguer.

Nel 1972 Tatò viene eletto nel Comitato centrale del Pci. Nel 1979, durante i preparativi per il XV Congresso del partito, Tatò riesce a sventare delle manovre interne contro Berlinguer e, orchestrando un’abile campagna stampa, lo salva dalla decapitazione.

 Alla morte di Enrico Berlinguer nel 1984 la sua figura declina di importanza, fino a che nel 1988 decide di fondare un’agenzia giornalistica, la D.I.R.E, dedicata soprattutto alle dinamiche parlamentari. Nel 1991 viene nominato nella Commissione Garanzia del Pci. 

Morirà a Roma il 5 novembre 1992, nella ricorrenza del suo settantunesimo compleanno.








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