A casa Tatò: perché?
Enrico Berlinguer era spesso a cena a casa di Tonino Tatò. Potevano parlare più liberamente che in ufficio a Botteghe Oscure senza dosare concetti e sfumature necessari a tenere in equilibrio la complessa situazione nazionale e internazionale. Erano gli anni della Prima Repubblica verso la fine dei Settanta: il quindicennio berlingueriano era cominciato da poco e l'ambizioso progetto politico di rinnovamento del partito comunista e di altre visioni politiche, in particolare di quelle della Democrazia Cristiana, era in corso. Occorreva tessere un'abile tela che toccasse non solo i confini nazionali ma anche quelli internazionali: il Pci era sotto gli occhi vigili di americani, britannici e sovietici e la sua dirigenza lavorava su più fronti. Fra Tonino ed Enrico le riflessioni spaziavano a tutto campo nella tranquillità di un piccolo appartamento in centro a Roma a pochi passi dalla Camera dei Deputati, del Senato, delle sedi di tutti i partiti.
Ma a casa Tatò venivano convocati molti altri politici e non solo: direttori di quotidiani, giornalisti di punta, altri personaggi di spicco della società italiana.
«Conoscevi e frequentavi il gotha dell’editoria, della
politica, delle industrie e delle istituzioni, dal Quirinale in giù. Lo hai
fatto per quindici anni. Non un fremito di vanità, non una scalfittura nella
tua integrità morale. Su tutto, il tuo sguardo severo e remoto. Era solo un
gioco su una scacchiera. Bisognava dare scacco al Re». (dal mio libro PORTE
CHIUSE, p.127)
Ne ricordo molti degli incontri di mio padre nel soggiorno
del suo appartamento. Mi colpirono in particolare quelli con i maggiori
esponenti della Democrazia Cristiana: Ciriaco De Mita, Aldo Moro, Giulio
Andreotti.
Quest’ultimo in proposito ha scritto sul suo mensile «30
GIORNI» di luglio-agosto 2004:
«Così, un certo giorno mi trovai convocato in casa di Tonino
e Giglia Tatò per un incontro riservatissimo con Berlinguer. Con Tonino avevo
rapporti extra politici perché qualche volta mi invitavano come esterno a
incontri di ex alunni dell’Apollinare. Berlinguer fu molto sbrigativo. Sapeva
che io approvavo il disegno di Moro e da parte sua riteneva, a torto o a
ragione, che io oltre agli americani tranquillizzassi anche riserve vaticane».
A casa Tatò venivano decise molte cose. Tra esse, rammento qui la
gestione della Rai dopo la fine del suo monopolio nazionale:
Così riporta Sergio
Menicucci il 2 agosto 2024 on line su L’Opinione delle Libertà:
«Il primo momento di svolta è
stata la riforma del 1975, con il riconoscimento del peso dei socialisti
ai quali venne affidata la guida della Rete Due, dopo la sentenza della Corte
Costituzionale che metteva fine al monopolio tivù, consentendo la
nascita delle televisioni private, in primis di Silvio Berlusconi.
La consacrazione della lottizzazione è avvenuta nel dicembre 1979, quando a
casa di Antonio Tatò (braccio destro di Enrico Berlinguer, segretario
del Pci) si riunirono Biagio Agnes, con Clemente Mastella, Enrico
Manca, Walter Veltroni sollecitato da Angelo Guglielmi e Sandro
Curzi per “spartirsi” la gestione dell’azienda pubblica».
Un articolo riportato sul
Sole 24ore del 10 ottobre 2004 affermava che per tre anni la CIA aveva
ascoltato tutto quello che avveniva in casa Tatò attraverso delle microspie
abilmente nascoste e di cui nessuno si era mai accorto. Come dire, gli
americani erano aggiornati in tempo reale su quello che si muoveva nella
politica italiana. La notizia fu smentita dall’ambasciatore americano Richard
Gardner. Ma il dubbio è rimasto.
Ora, io mi domando: perché
quegli incontri a casa Tatò e non altrove? Chi era veramente Tonino Tatò?
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